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Quando l'informazione non è prona si ricorda sempre. Ma sono poche le stelle che brillano

"Caro direttore  ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me  una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori.

Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E' stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse.

Dov'è il Paese reale? E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov'è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il tg1 l'ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.

L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale.

Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto.  Nell'affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia". 

Conclude: "Caro direttore, quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere".

E' lo stralcio della lettera con la quale Maria Luisa Busi ha rassegnato le dimissioni dalla conduzione del Tg1 delle 20, a seguito dei persistenti contrasti con la linea editoriale del telegiornale. Era il 21 maggio 2010 e la giornalista e conduttrice storica dell'edizione serale del primo telegiornale della rete pubblica, decide di non mettere più la faccia per un'informazione che ritiene non valida e poco  veritiera. E  lo fa lasciando ("quasi a sfregio", si legge nelle cronache del tempo) questa lettera in bacheca, aperta al pubblico, all'intera redazione ed a tutti i colleghi Rai. 

Aldilà di come la si pensi e delle convinzioni di ognuno di noi (ho volontariamente tolto i riferimenti politici del caso, perchè non è questo il punto) è quanto ci si aspetta da un professionista, quando quello che fa cozza con le sue opinioni e con le sue convinzioni. Specialmente da un giornalista e da chi gestisce il mondo dell'informazione e dei media. Stiamo vivendo questa fase pandemica da Cononavirus all'insegna dell'appiattimento generalizzato dei contenuti e dei temi. Dalle reti nazionali a quelle locali passano, ripetutamente, le stesse e parziali informazioni, tralasciando tutto ciò che va oltre i bollettini ufficiali e le note stampe, compresi gli approfondimenti e le inchieste. Non si fanno più le domande, non si verificano i dati e non si persegue più la ricerca della verità nella sua interezza. Il Covid-19, con i suoi protagonisti, ha sostituito i cuochi e gli chef stellati nei palinsesti televisivi. Si parla tanto per non dire tutto. Spero che i (tanti) giornalisti seri riescano a reagire e a tornare al servizio dei lettori, ad avere la forza di criticare il Palazzo quando serve e a scavare nella realtà. Spesso alla nostra categoria piace riempiersi la bocca di queste cose, meno a scriverle.  

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