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Buon Compleanno Paolo Borsellino (19/01/1940)


«Sono nato in un paese in cui quando ero piccolo e andavo a scuola, i miei amici erano migliori di me perché i loro padri erano mafiosi. E io li invidiavo, non rendendomi conto di quanto questo costasse alla mia terra. Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalle necessità di inseguire i compensi dei clienti.
La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dar sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica, non appagabile con la carriera universitaria, per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso. Fui fortunato e diventai magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso.
E' vero che nel 1975, per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all'ufficio istruzione processi penali, ma alternai l'applicazione, anche se saltuaria, a una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle distanze legali, delle divisioni ereditarie. Il 4 maggio 1980 uccisero il capitano Emanuele Basile e il consigliere Chinnici volle che mi occupassi io dell'istruttoria del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anch'egli dal civile, il mio amico d'infanzia Giovanni Falcone, e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un altro.
Avevo scelto di rimanere in Sicilia e a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso a occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo esclusivamente occuparmi. Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché esclusivamente della criminalità mafiosa. E sono ottimista perché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e non, hanno oggi attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant'anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanta io e la mia generazione ne abbiamo avuta.»

Lettera ad un insegnante



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