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10 Febbraio il Giorno del Ricordo. La morte in foiba: il racconto di un sopravvissuto

Non possiamo dimenticare. Non vogliamo dimenticare. Non dobbiamo dimenticare.


Il 10 febbraio si commemora la tragedia degli italiani lasciati barbaramente morire negli inghiottitoi carsici, grazie alla legge del 30 marzo 2004 n. 92 che ha istituito la "Giornata del Ricordo" per i massacri delle foibe e dell'esodo giuliano dalmata.

Nel corso della Seconda guerra mondiale e negli anni successivi, migliaia italiani di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia furono massacrati negli eccidi delle foibe o morirono nei campi di prigionia jugoslavi per stenti e privazioni.

Nello stesso periodo, la maggioranza dei cittadini di nazionalità e lingua italiana, e degli italiani di nazionalità mista, slovena e croata, furono costretti a lasciare questi luoghi, in cui vivevano da sempre. Abbandonando per sempre le loro case, le loro terre, le loro botteghe. I drammatici eventi della migrazione forzata degli italiani vengono ricordati come l’esodo giuliano-dalmata o istriano.

Nel "Giorno del Ricordo", rendiamo omaggio a tutte le vittime degli eccidi delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata. 

La memoria di queste pagine buie e vergognose, della nostra storia, sia per tutti noi un motivo di riflessione e di impegno per la pace e il rispetto della dignità umana, contro ogni forma di discriminazione.

LA LETTERA DI UN SOPRAVVISUTO

Dalle esecuzioni nelle foibe qualcuno uscì miracolosamente vivo. Uno dei pochissimi casi conosciuti è quello del protagonista di questo racconto, che si riferisce a un episodio accaduto nei pressi di Albona nell’autunno del 1943.


      Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell’alba, sentì uno dei nostri aguzzini dire agli altri: «Facciamo presto, perché si parte subito». Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati insieme con un unico fil di ferro, oltre quello che ci teneva avvinte le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo solo i pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze.
     Un chilometro di cammino e ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un fil di ferro, ci fu appeso alle mani legate un sasso di almeno venti chilogrammi. Fummo sospinti verso l’orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera.
     Uno di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra puntato su di una roccia laterale, ci impose di seguirne l’esempio. Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accdde il prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il fil di ferro che teneva legata la pietra, cosicché quando mi gettai nella foiba, il sasso era rotolato lontano da me.
     La cavità aveva una larghezza di circa 10 metri e una profondità di 15 fino alla superficie dell’acqua che stagnava sul fondo. Cadendo, non toccai fondo, e tornato a galla potei nascondermi sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole - Un’altra volta li butteremo di qua, è più comodo - pronunciate da uno degli assassini. Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott’acqua schiacciandomi con la pressione dell’aria contro la roccia. Verso sera riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e a guadagnare la campagna, dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutivi, celato in una buca. Tornato nascostamente al mio paese per timore di ricadere nelle grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di essere veramente salvo.

STORIA DELLE FOIBE
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Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 sono stati gettati, vivi e morti, quasi ventimila italiani.
La prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano, affamano e poi gettano nelle foibe circa un migliaio di persone. Li considerano “nemici del popolo”. Ma la violenza aumenta nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe comuniste del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini. Lo racconta Graziano Udovisi, l’unica vittima del terrore titino che riuscì ad uscire da una foiba. È una carneficina che testimonia l’odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947, fino a quando, cioè, viene fissato il confine fra l’Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.


SOTTO L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI 
ALLA CERIMONIA SOLENNE DAVANTI AL SACRARIO DI BASOVIZZA

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