La storia della famiglia allontanata dalla propria vita nei boschi riaccende un dubbio: la tutela dei minori è davvero la stessa per tutti?
Perché togliere i figli ai genitori dovrebbe essere l’ultima possibilità, non la prima. Una scelta estrema, che dovrebbe arrivare solo quando ogni tentativo di aiutare la famiglia si è rivelato inutile. Eppure guardando quello che succede ogni giorno in Italia, non si può fare finta di niente. In troppe zone l’abbandono scolastico è altissimo, con ragazzini che spariscono dalle classi senza che qualcuno si chieda davvero cosa stia succedendo a casa loro. Ci sono bambini che crescono nei campi rom, immersi in condizioni che definire precarie è poco, tra baracche, immondizia, fumi tossici, situazioni igieniche inaccettabili. E poi ci sono i minori che vivono in famiglie dove circolano droga, armi, ricatti, dove la criminalità è l’unica forma di “educazione” che si conosce. Lì, spesso, nessuno interviene. O si interviene troppo tardi.
Di fronte a tutto questo, la rapidità con cui si è agito contro la famiglia del bosco fa riflettere. Non per difendere scelte di vita discutibili o per romanzare su una situazione che probabilmente presentava problemi seri. Ma se la tutela dei minori è davvero un principio sacro — come dovrebbe essere — allora deve valere per tutti allo stesso modo. Per i figli che vivono isolati nei boschi come per quelli che crescono nelle periferie difficili, o nei campi nomadi, o in case dove la legalità è un miraggio.
La decisione del Tribunale potrà anche essere stata la più giusta possibile, ma quello che colpisce è il silenzio su tanti altri casi che non arrivano mai sulle scrivanie dei magistrati. E qui si apre un’altra questione scomoda: è più facile intervenire dove c’è una famiglia isolata, senza mezzi, magari senza voce, piuttosto che mettere mano a situazioni radicate, complicate, pericolose che richiederebbero tempo, rischi e coraggio?
Alla fine, questa storia ci riporta a un principio che dovrebbe essere ovvio ma che spesso viene dimenticato: ogni bambino ha diritto ad essere protetto. E prima di dividere una famiglia, bisognerebbe essere certi che non esistano altre strade per sostenerla. Perché una famiglia può essere fragile, imperfetta, diversa da quelle cosidette “normali”, ma resta pur sempre un luogo dove (quasi sempre) si trova un affetto che nessuna casa famiglia potrà sostituire.
Il caso dei “figli del bosco” è solo l’ultimo campanello d’allarme. E ci obbliga a chiederci se la giustizia, quando interviene, lo fa davvero alla stessa maniera per tutti, ovunque essa si trovi. Forse è arrivato il momento di dircelo senza troppi giri di parole.
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