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Dipendenti pubblici: il motore silenzioso dell'Italia tra sacrifici e sfide.

Una risorsa strategica per l'Italia, troppo spesso sottovalutata e penalizzata da anni di scelte non lungimiranti. Occorre rilanciare il valore del pubblico impiego.


L’Italia si regge sulle spalle di oltre tre milioni di dipendenti pubblici, lavoratori silenziosi che garantiscono il funzionamento della macchina statale in ogni settore: dalla sanità all’istruzione, dalla sicurezza ai servizi amministrativi. Eppure, la loro immagine pubblica viene spesso distorta da una narrazione ingiusta che li dipinge come fannulloni e privilegiati. La realtà, invece, racconta di una categoria professionale che affronta enormi difficoltà, tra carenze e burocrazia, senza che il loro impegno venga adeguatamente riconosciuto.

In Italia, il rapporto tra dipendenti pubblici e popolazione è tra i più bassi d’Europa: circa il 14% contro il 20% della Francia, il 18% della Germania e il 25% della Svezia. Numeri che certificano come la pubblica amministrazione italiana operi con una forza lavoro ridotta rispetto ad altre nazioni, con un carico sulle spalle dei singoli lavoratori che aumenta di anno in anno. Nonostante ciò, le ore lavorate dagli impiegati pubblici italiani sono in linea con quelle del settore privato e, in molti casi, superiori a quelle dei loro colleghi europei.

A pesare sulla macchina pubblica italiana è l’età media elevata dei suoi dipendenti, oggi superiore ai 50 anni. Un dato che non è frutto del caso, ma di scelte politiche ben precise, come il blocco del turn over che per anni ha impedito l’ingresso di giovani leve. Questo ha comportato una perdita di efficienza e competitività, con uffici che si ritrovano sguarniti di nuove competenze e con un ricambio generazionale praticamente azzerato. A risentirne sono soprattutto settori strategici come la sanità, la scuola, la giustizia e il supporto alla produttività privata, dove l’assenza di forze fresche pesa sulla qualità dei servizi.

Un tempo, il posto fisso nella pubblica amministrazione era il sogno di ogni giovane, sinonimo di stabilità e sicurezza. Oggi, invece, la realtà è profondamente cambiata. Sempre più ragazzi (soprattutto tra quelli laureati) scelgono di non partecipare ai concorsi pubblici, e chi vince spesso rinuncia al posto, perché la retribuzione non è più all’altezza del costo della vita. Lo stipendio medio di un impiegato pubblico italiano è tra i più bassi d’Europa e, per chi viene assegnato a una sede lontana dalla propria residenza, le spese di vitto e alloggio diventano troppo alte e in molti casi insostenibili. Una situazione che sta impoverendo la pubblica amministrazione di talenti, con effetti devastanti sulla capacità dello Stato di gestire progetti cruciali come il PNRR.

A tutto questo si aggiunge un altro problema: la mancanza di una vera carriera nel pubblico impiego. A differenza del settore privato, dove chi merita può scalare rapidamente posizioni e retribuzioni, nella pubblica amministrazione i percorsi di crescita sono lenti e ingessati. Dopo anni di servizio, il massimo a cui può aspirare un impiegato pubblico è uno scatto di fascia economica e qualche decina di euro di aumento, senza la possibilità di ambire a una carriera e a ruoli dirigenziali e di vertice. Un sistema che scoraggia i migliori e premia solo l’anzianità di servizio, anziché il talento e l’impegno.

Questa situazione non è recente, ma frutto di anni di scelte politiche miopi (a destra come a sinistra) che hanno depotenziato il pubblico impiego. Il governo Meloni ha promesso di intervenire con misure concrete per valorizzare i dipendenti pubblici. L’obiettivo è proprio quello di rendere più attrattivo il lavoro nella PA, con stipendi adeguati, percorsi di carriera più dinamici e un sistema basato sul merito. Vedremo cosa produrra in termini concreti. Quel che serve è un cambio di paradigma (anche tra le forze sindacali) che premi chi lavora con dedizione e garantisca prospettive concrete a chi sceglie di servire la nazione.

Rendere più efficiente e attrattivo il lavoro pubblico significa investire nel futuro dell’Italia. Servono politiche di assunzione mirate per riportare i giovani nella PA, retribuzioni più adeguate al costo della vita e un sistema di crescita professionale che sia vero e premi il valore. Solo così il pubblico impiego potrà tornare a essere un motore forte e dinamico, all’altezza delle sfide che la nazione deve affrontare. I dipendenti pubblici non sono il problema, ma la soluzione: è ora di riconoscerlo e di agire di conseguenza.

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