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Il vergognoso sciacallaggio social sulla morte dell'imprenditore Rovagnati

Quando la morte diventa pretesto per l'invidia e la cattiveria. Il fallimento dei social contro odio mirato.

La tragedia che ha colpito Lorenzo Rovagnati, l'imprenditore erede della storica azienda di salumi, e i due piloti che erano a bordo con lui, nell'elicottero che si è schiantato, dovrebbe essere un momento di dolore e di raccoglimento. Almeno di rispetto. Invece sui social network si è scatenata una valanga di insulti, prese in giro e odio, che dimostra ancora una volta come la rete sia diventata un contenitore dove riversare i peggiori impulsi dell'essere umano.

Hater, invidiosi, fanatici, pseudo-animalisti e vegani non hanno perso l'occasione per vomitare veleno e frustrazioni. Commenti come "Finalmente un assassino in meno" o "Il karma ha fatto il suo corso, chi sfrutta gli animali merita questa fine"  e altre offese del genere, scritte da chi si definisce paladino del rispetto della vita, dimostrano una disumanità mostruosa. Altrettanto vergognosi sono i post di chi esulta perché Rovagnati era ricco, come "Un altro miliardario che non farà più soldi sul sangue degli altri" o "Morire in elicottero, il dramma dei ricchi". Questi commenti rivelano un mix di invidia sociale e odio cieco, che porta certe persone a gioire persino della morte di un uomo, solo perché rappresentava il successo economico e imprenditoriale.

Questi sfoghi sono frutto dell'ignoranza ma rivelano un problema più grande che coinvolge una parte della società che, protetta dall'anonimato della rete o da falsi profili, si sente legittimata a inveire contro chiunque, senza rispetto, senza dignità e senza un bricilo di pietà. È lo stesso meccanismo che trasforma ogni tragedia in una lotta ideologica, dove il valore della vita si annienta e si usa la morte per dar sfogo al proprio odio. Non importa chi sia la vittima, quello che conta è aver trovato un bersaglio su cui sfogare il proprio rancore, senza nemmeno pensare al dolore delle famiglie che stanno vivendo un lutto.

Uno scandalo che si aggiunge a un altro scandalo che è proprio dei social network. Di quelle piattaforme sempre pronti a censurare chiunque esprima opinioni non conformi al pensiero dominante e che spesso lasciano correre, indisturbati, commenti come questi pieni di odio e disprezzo. Mentre un post su temi politici, religiosi o sociali viene rimosso con la motivazione della “violazione delle linee guida”, augurare la morte o ridere sulle tragedie rimane una pratica tollerata, a meno che non colpisca le solite categorie "protette". È evidente che i social non applicano la stessa severità (e gli stessi algoritmi) a tutti i contenuti offensivi: alcuni vengono bloccati immediatamente, mentre altri, come gli insulti contro imprenditori o personaggi considerati "privilegiati", restano online senza conseguenze.

Il caso di Lorenzo Rovagnati è solo l'ultimo esempio di come gli algoritmi siano usati in modo arbitrario. La discrezionalità della censura è evidente: ci sono gruppi e ideologie che godono di protezione, mentre l'odio contro determinate figure – vedi imprenditori, ricchi, personaggi non allineati – può diffondersi senza limiti. Se un comune cittadino scrivesse oggi su questi social parole offensive verso certe categorie, il suo account verrebbe sospeso in pochi minuti. Ma se si augura la morte a un imprenditore o a una persona considerata privilegiata, allora tutto è permesso. Questa ipocrisia è inaccettabile e mina il concetto stesso di equità e giustizia all'interno delle piattaforme digitali.

Intanto le famiglie delle vittime sono costrette a subire non solo il dolore della perdita, ma anche la violenza verbale di questi sciacalli da tastiera, che non si fermano nemmeno davanti alla morte. 

Ma è veramente questa la società che vogliamo? 

Una società in cui il rispetto per le persone (e per i morti) dipende dal loro status sociale o dalle loro appartenenze e scelte di vita? Siamo arrivati ​​al punto in cui persino il lutto viene violato ed è diventato terreno di scontro per l'odio ideologico e la guerra che si consuma sulla rete.

Se i social network vogliono davvero essere uno spazio civile e sicuro devono dimostrarlo con i fatti, bloccando l'odio in tutte le sue forme, senza due pesi e due misure. Altrimenti continueranno a essere quello che sono oggi: un megafono per l'invidia e il rancore sociale, una zona franca per i vigliacchi e gli odiatori e il lato oscuro e vergognoso della nostra società.

AC, La Voce del Patriota 12 febbraio 2025 (leggi la fonte)


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