La corsa ai minerali strategici che cambieranno il futuro dell'economia e della sicurezza mondiale. Senza le terre rare, non si producono chip, batterie, armi avanzate e infrastrutture digitali e si rischia di ritrovarsi senza autonomia strategica.
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(foto: Starling Finance) |
Le terre rare sono l'oro del XXI secolo. Si tratta di 17 elementi chimici che si trovano nel sottosuolo e che sono fondamentali per la tecnologia moderna, tra cui neodimio, praseodimio, disprosio, terbio, europio, ittrio e cobalto, considerati i più preziosi per le loro applicazioni industriali e militari. Facendo una piccola ricerca, ho scoperto che il neodimio e il praseodimio sono essenziali per la produzione di magneti ad alte prestazioni, utilizzati in turbine eoliche, veicoli elettrici e dispositivi elettronici. Il disprosio e il terbio migliorano l'efficienza e la resistenza dei magneti, mentre l'europio è impiegato nei display a schermo piatto e nell'illuminazione a led. L'ittrio, insieme ad altri elementi come il gadolinio, è fondamentale per la produzione di microchip e semiconduttori, componenti essenziali per l'industria tecnologica e militare. Il cobalto, invece, è indispensabile per la realizzazione di batterie al litio di ultima generazione, utilizzate nei veicoli elettrici e nei dispositivi elettronici portatili, rendendolo un materiale chiave per la transizione energetica.
Il problema?
Questi minerali sono concentrati in pochi paesi, e il loro controllo sta ridisegnando gli equilibri geopolitici mondiali.
La Cina domina il mercato, detenendo oltre il 60% della produzione globale e soprattutto la stragrande maggioranza delle capacità di raffinazione di questi minerali per i bassi costi sulla manodopera e la forza lavoro. Questo le garantisce un'influenza diretta sull'economia e sulla sicurezza di Stati Uniti, Europa e altre nazioni industrializzate, che dipendono dalle sue forniture. Il governo di Pechino lo sa e usa questa leva come strumento di pressione politica ed economica. Negli ultimi anni, ha investito massicciamente in Africa, dove si trovano ingenti riserve di terre rare ancora poco sfruttate, assicurandosi accordi esclusivi con i governi locali in cambio di infrastrutture e di aiuti economici.
Negli Stati Uniti, l'amministrazione Trump ha cercato di arginare questa dipendenza, dichiarando le terre rare una questione di sicurezza nazionale e investendo nel settore minerario interno, oltre a stringere alleanze con Australia e Canada per diversificare le fonti di approvvigionamento. Anche l'Europa è corsa ai ripari, ma con più difficoltà : il Vecchio Continente è quasi del tutto privo di giacimenti e dipende per il 98% dalla Cina. Per questo, Bruxelles ha lanciato piani di investimento per l'estrazione e la raffinazione di questi materiali, con il coinvolgimento di nazioni come la Svezia e la Norvegia.
La Russia, con le sue vaste risorse minerarie, gioca un ruolo meno evidente ma potenzialmente decisivo. Il Donbass, al centro dell'invasione russa dell'Ucraina, è ricco di minerali strategici, comprese alcune terre rare. Per Mosca, garantire il controllo di queste risorse significa rafforzare la propria indipendenza tecnologica e avere un'arma in più nei confronti dell'Occidente. Non a caso, Trump ha chiesto all’Ucraina risarcimenti per garantire agli USA un accesso privilegiato a queste materie prime, consapevole del loro valore strategico.
E l'Italia? Dopo anni di immobilismo, il governo Meloni sta cercando di recuperare terreno. Sono in corso studi per riaprire miniere storiche e iniziare nuove estrazioni in Sardegna e nelle Alpi. L'obiettivo è ridurre la dipendenza dall'estero e inserirsi nella catena di approvvigionamento europea. Ma il tempo per la corsa alle terre rare è veramente poco e chi arriva tardi rischia di perdere autonomia strategica e competitività industriale. Le terre rare non sono solo una questione economica, ma un pilastro della sicurezza nazionale: senza non si producono chip, batterie, armi avanzate e infrastrutture digitali. Mentre Cina, USA e Russia si muovono con decisione nel mondo per garantire il controllo su queste risorse, l'Europa (e quindi anche l'Italia) deve accelerare per evitare di trovarsi in una posizione di svantaggio, dipendendo da altri per il proprio futuro tecnologico, economico e sociale. Ma va fatto ieri, non domani!
AC, La Voce del Patriota 17 febbraio 2025 (leggi la fonte)
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